Corte di Cassazione seconda sezione civile ordinanza n. 28443 del 7.10.2025

In tema di migliorie eseguite dal convivente sull'immobile dell'ex partner adibito a casa familiare e richiesta di rimborso dopo la fine del rapporto

Avv. Sabrina Modena

11/12/20252 min read

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 28443 del 7.10.2025, ha affrontato la questione della qualificazione giuridica del partner non proprietario che, nell’ambito della convivenza e con riferimento all’immobile destinato a casa familiare, esegua opere migliorative sul bene altrui, chiedendo, successivamente alla fine del rapporto, il riconoscimento dell’indennità ex artt. 1150 e 1152 c.c. o, in via subordinata, il rimborso delle spese sostenute.
In sintesi, la Cassazione sancisce che il partner non proprietario non gode di tutela possessoria o indennitaria per le opere migliorative eseguite sulla casa familiare, specie se abusive, riaffermando la separazione tra la disciplina dei beni e quella dei rapporti familiari.
Nello specifico, la Corte ribadisce che il partner non proprietario non può essere qualificato come possessore ai sensi dell’art. 1140 c.c., ma solo come detentore qualificato o titolare di un diritto personale di godimento di natura familiare. Tale godimento è funzionale alla vita di coppia e privo dell’animus rem sibi habendi che caratterizza il possesso. L’uso dell’immobile avviene uti familiaris e non uti dominus, per cui non sussistono i presupposti soggettivi e oggettivi per l’applicazione della disciplina del possessore miglioratore.
L’indennità ex art. 1150 c.c. e il potere di ritenzione ex art. 1152 c.c. spettano solo al possessore e non possono essere estesi analogicamente ai detentori, nemmeno qualificati. Ne consegue la reiezione della domanda di indennità e la inammissibilità della ritenzione, sia per difetto di legittimazione sostanziale, sia per tardività processuale (domanda proposta per la prima volta in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c.).
La buona fede ex art. 1147 c.c. è rilevante solo in presenza di un effettivo possesso, condizione esclusa nel caso di specie sottoposto all'attenzione del giudice. In ogni caso, la Corte osserva che la diffida alla restituzione ricevuta dal partner non proprietario interrompe qualsiasi affidamento sulla legittimità del godimento del bene, escludendo anche la buona fede materiale.
La Corte riafferma il principio per cui nessuna tutela economica può essere riconosciuta per opere abusive, in quanto la violazione della normativa urbanistica impedisce il riconoscimento dell’indennità o del rimborso ed esclude la possibilità di un indebito vantaggio patrimoniale derivante da attività illecite. L’abusività edilizia costituisce, dunque, una causa preclusiva assoluta alla rimborsabilità delle opere.
Dalla decisione discendono i seguenti principi sistematici: il partner non proprietario che effettua migliorie sull’immobile adibito a casa familiare è detentore qualificato, non possessore; sono inapplicabili le indennità ex art. 1150 c.c. e il potere di ritenzione ex art. 1152 c.c.; la buona fede è irrilevante in mancanza di possesso e, comunque, esclusa dalla diffida alla restituzione; le opere abusive non generano alcun diritto al rimborso o all’indennità.
L’ordinanza consolida l’indirizzo giurisprudenziale che distingue, nettamente, il diritto dei beni dal diritto di famiglia, esclude la trasposizione degli istituti possessori nelle dinamiche dei conviventi o familiari, valorizza la natura solidaristica e non dominicale del rapporto tra conviventi.
In sintesi, la Cassazione sancisce che il partner non proprietario non gode di tutela possessoria o indennitaria per le opere migliorative eseguite sulla casa familiare, specie se abusive, riaffermando la separazione tra la disciplina dei beni e quella dei rapporti familiari.