Corte di Cassazione, Sezione Lavoro ordinanza n. 8401/20

In materia di incompatibilità tra l’assegno ordinario di invalidità e la prestazione di disoccupazione NASpI

Avv. Sabrina Modena

4/15/20251 min read

Con l’ordinanza n. 8401/2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affermato il principio secondo cui, pur sussistendo l’incompatibilità tra l’assegno ordinario di invalidità (art. 1 L. 222/1984) e la prestazione di disoccupazione NASpI (art. 1 D.lgs. 22/2015), l’interessato conserva il diritto di opzione tra i due trattamenti, senza che l’INPS possa fissare, unilateralmente, un termine decadenziale in assenza di espressa previsione normativa. Nel caso di specie, una lavoratrice, titolare di assegno ordinario di invalidità, aveva, successivamente, presentato domanda di NASpI. L’INPS, richiamando una propria circolare interna, aveva ritenuto tardiva l’opzione operata dalla richiedente, rifiutando l’erogazione della prestazione. In primo grado il Tribunale aveva accolto la tesi dell’Ente previdenziale, rigettando la domanda. In appello, la Corte territoriale ha riformato integralmente la decisione, ritenendo illegittima l’introduzione di un termine di decadenza mediante atto amministrativo privo di forza normativa. La Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello, ribadendo che: vige il divieto di cumulo tra assegno di invalidità e NASpI; tale divieto è attenuato dal diritto dell’assicurato di esercitare l’opzione tra le due prestazioni; non è previsto dalla legge alcun termine di decadenza per l’esercizio di tale opzione; le circolari INPS non hanno valore normativo e non possono limitare diritti soggettivi tramite l’introduzione di termini decadenziali. La Cassazione sottolinea che, in assenza dell’opzione, deve trovare applicazione la sospensione automatica di una delle prestazioni fino alla manifestazione di volontà dell’assicurato. L’esercizio del diritto di opzione ha natura costituzionalmente tutelata (ex art. 38 Cost.) e può essere limitato solo da fonte primaria di legge, non da atti amministrativi interni. La Corte ha rigettato il ricorso dell’INPS, compensando le spese del giudizio di legittimità in ragione del carattere recente e controverso della questione.